Dostoevsky. Il sosia (Italian, Двойник)
Capitolo 10

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Capitolo 10

Si può ben dire che gli avvenimenti del giorno prima avevano profondamente scosso Goljadkin. Il nostro eroe passò una pessima notte, cioè non riuscì assolutamente a dormire nemmeno per cinque minuti, come se qualche burlone avesse cosparso il suo letto di setole fatte a pezzetti. Passò tutta la notte in una specie di dormiveglia, girandosi da una parte e dall'altra, ora su un fianco ora sull'altro, esclamando, ansimando, prendendo sonno per un istante e dopo un istante svegliandosi di nuovo, e tutto ciò accompagnato da una strana angoscia, da confusi ricordi, da orrende visioni... in una parola, da tutto ciò che si può trovare di più sgradevole... Ora gli appariva davanti, immersa in una strana, misteriosa penombra, la figura di Andréj Filìppovic'; una figura asciutta, scontrosa, dallo sguardo freddo, crudele, con quel suo rimbrottare rigido e cortese... Ma, non appena Goljadkin cominciava ad avvicinarsi ad Andréj Filìppovic' per giustificarsi in certo qual modo ai suoi occhi, così e così, e dimostrargli che lui non era come lo dipingevano i suoi nemici, che, ecco, lui era questo e quello, e che anzi aveva, oltre alle comuni innate sue qualità, anche questo e quest'altro... ecco che appariva immediatamente la persona nota per le sue basse intenzioni e, con qualche espediente dei più stomachevoli, in un colpo solo demoliva tutte le sue iniziative e proprio lì, quasi sotto il naso di Goljadkin, diffamava energicamente la sua reputazione, calpestava nel fango il suo amor proprio e poi, senza perdere tempo, prendeva il suo posto nell'ufficio e in società. Ora Go]jadkin sentiva un certo prurito alla testa causato da qualche scappellotto, da poco tempo ben meritato e umilmente accettato, ricevuto o nella vita comune oppure là in servizio, colpettino contro il quale era difficile protestare... E, mentre Goljadkin cominciava già ad arrovellarsi il cervello sul perché fosse tanto difficile protestare, anche solo per quello scappellotto, questo pensiero sullo scappellotto andava assumendo insensibilmente un'altra forma; la forma di una qualche piccola nota, o abbastanza notevole, viltà vista, sentita o da lui stesso compiuta non da molto tempo; e spesso compiuta persino per una ragione non bassa, e persino anche non per un basso impulso qualsiasi, ma così... a volte, tanto per dire, per caso, per delicatezza, un'altra volta a causa della sua assoluta mancanza di protezioni e, infine perché... perché... insomma Goljadkin lo sapeva bene questo "perché"! A questo punto Goljadkin arrossiva nel sonno e, cercando di reprimere il suo rossore, borbottava tra sé che, per esempio, si poteva in questo caso far vedere la propria fermezza di carattere... ma poi concludeva: "Ma che fermezza di carattere! perché ricordarla proprio adesso?" Ma, soprattutto, ossessionava e irritava Goljadkin il fatto che proprio lì e immancabilmente in quel preciso momento, lo chiamassero o no, appariva il personaggio noto per i suoi mostruosi e grotteschi propositi e, nonostante che, a quanto sembrava, la cosa fosse già risaputa, anche lui borbottava con un vile sorrisetto: "Ma che c'entra qui" diceva, "la fermezza di carattere? Quale fermezza di carattere può essere la mia e la tua, Jakòv Petrovic'?..."

era distinto per il suo comportamento cortese e arguto; che tutti gli volevano bene, e persino qualcuno fra i suoi nemici che si trovavano lì aveva cominciato a nutrire affetto per lui, il che gli era molto gradito; che tutti gli avevano decretato il primo posto e che infine Goljadkin stesso aveva sentito con suo grande piacere che il padrone di casa, tirato in disparte uno degli ospiti, aveva fatto le lodi del signor Goljadkin... e all'improvviso, di punto in bianco, era di nuovo apparso il personaggio noto per i suoi cattivi propositi e i suoi bestiali impulsi, sotto l'aspetto del signor Goljadkin numero due, e proprio lì, di colpo, in un attimo, con la sua sola comparsa, il signor Goljadkin numero due aveva fatto precipitare tutta la gloria e il trionfo del signor Goljadkin numero uno, aveva oscurato con la sua presenza il Goljadkin numero uno, aveva calpestato nel fango il Goljadkin numero uno, e, infine, aveva chiaramente dimostrato che il Goljadkin numero uno e al tempo stesso l'autentico, non era affatto l'autentico, ma il falso e, che l'autentico era lui, che infine il Goljadkin numero uno non era assolutamente quello che sembrava, ma ora questo, ora quello, e, di conseguenza, non doveva avere e non aveva il diritto di far parte della società delle persone perbene e dalle maniere distinte. E tutto questo era accaduto così in fretta, che il signor Goljadkin numero uno non aveva fatto in tempo ad aprire bocca che già tutti si erano dati anima e corpo allo scandaloso e falso Goljadkin e con profondo disprezzo avevano ripudiato lui, il vero e innocente Goljadkin. Non c'era più nemmeno una persona a cui lo scandaloso Goljadkin non avesse in un lampo fatto cambiare opinione a modo suo. Non rimaneva una persona, nemmeno la più insignificante dell'intera compagnia, intorno alla quale l'inutile e falso Goljadkin non avesse fatto il leccapiedi nel modo più sdulcinato, a cui non avesse fatto l'occhiolino a modo suo, di fronte alla quale non avesse fatto bruciare, secondo la sua abitudine, i più dolci e più gradevoli aromi, cosicché la persona, avvolta in quella nuvola di profumo, non faceva che annusare e starnutire fino alle lacrime, in segno di supremo piacere. E, soprattutto, questo succedeva in un lampo: la rapidità di movimenti del sospetto e inutile signor Goljadkin era sorprendente! Ha fatto appena in tempo, per esempio, a scodinzolare intorno a uno e a guadagnarsene la benevolenza che - e in un amen - eccolo già da un altro. Scodinzola, scodinzola pian piano intorno a quest'altro, strappa un sorrisetto di benevolenza, slancia la sua gambotta corta e paffuta, e del resto, abbastanza legnosa, e eccolo già vicino a un terzo; corteggia il terzo e liscia amichevolmente anche quello; non fai in tempo ad aprire bocca, non fai in tempo a dire "ah!" per lo stupore, che lui è già dal quarto e col quarto è già a posto; è una cosa orribile, una stregoneria, e basta! E tutti sono contenti, tutti gli vogliono bene e tutti lo portano alle stelle e proclamano a gran voce che la sua amabi]ità e la sua intelligenza così portata alla satira non sono nemmeno paragonabili all'amabilità e alla tendenza satirica dell'autentico Goljadkin, e coprono così di vergogna l'autentico e innocente Goljadkin e ripudiano il verosimile Goljadkin e cacciano a spintoni il benintenzionato Goljadkin e fanno piovere piccoli scappellotti sul famigerato per il suo amore verso il prossimo, sull'autentico Goljadkin...

é, quel povero martire del signor Goljadkin si precipitò di corsa in strada e noleggiò una vettura per volare dritto dritto da sua eccellenza e, se non da lui, almeno da Andréj Filìppovic', ma... orrore! i vetturini non volevano in nessun modo saperne di portarlo: "Non è possibile, signore, non è possibile" dicevano, "portare due persone perfettamente uguali; una brava persona, vostra signoria, si ingegna di vivere secondo onestà e non come che sia, e mai con una doppia vita." Pieno di stupefatta vergogna si guardava intorno, l'onestissimo signor Goljadkin, e si convinceva lui stesso, con i propri occhi, che i vetturini e Petruska, tutti in comunella, erano nel loro diritto; poiché anche il depravato signor Goljadkin era davvero lì, vicino a lui, a non grande distanza, e, seguendo anche lì le ignobili abitudini del suo carattere, anche in quel critico caso, si preparava senza dubbio a fare qualcosa di molto sconveniente, che non mostrava affatto la particolare elevatezza di carattere che si acquista di solito con l'istruzione; elevatezza di cui, a ogni favorevole occasione, tanto si gloriava il disgustoso signor Goljadkin numero due. Fuori di sé, in preda alla vergogna e alla disperazione, il perduto e assolutamente onesto signor Goljadkin si lanciò dove lo portavano le gambe, alla mercé del destino, non importava dove; ma a ogni suo passo, ogni volta che posava il piede sul granito del marciapiede, saltava su, come da sottoterra, un altro odioso signor Goljadkin, perfettamente uguale per depravazione di cuore. E tutti costoro, assolutamente simili uno all'altro, subito dopo la loro comparsa si mettevano a correre uno dietro l'altro, in una lunga fila, come una schiera di oche, e si trascinavano arrancando dietro al signor Goljadkin numero uno, e non c'era modo di sfuggire a questi tipi perfettamente identici, e il signor Goljadkin degno in tutti i modi di commiserazione, si sentì troncare il fiato per l'orrore; e venne fuori, infine, una spaventosa quantità di esseri perfettamente uguali, e tutta la capitale fu invasa, infine, da quegli esseri perfettamente simili, e un agente di polizia, vedendo una tale violazione al decoro, fu costretto a prendere quegli uomini perfettamente simili per la collottola e a farli entrare in una guardina che si trovava per caso lì di fianco... Agghiacciato dall'orrore, il nostro eroe si svegliava e agghiacciato dall'orrore sentiva che anche nella realtà il tempo non scorreva con maggiore allegria... aveva una sensazione di pesantezza, di tormento... Lo prendeva una tale angoscia, come se qualcuno gli rodesse il cuore in petto...

é più resistere. "Questo non accadrà!" gridò, sollevandosi sul letto con decisione, e dopo questa esclamazione si svegliò del tutto.

ù luce del solito; i raggi del sole filtravano attraverso i vetri ricoperti di ghiaccio e si diffondevano per la camera, cosa che meravigliò parecchio Goljadkin, poiché forse soltanto verso mezzogiorno il sole faceva capolino nella stanza: nel passato, di simili eccezioni nel cammino del celeste astro, almeno secondo quanto Goljadkin stesso poteva ricordare, non c'erano quasi mai state. Il nostro eroe aveva appena fatto in tempo a meravigliarsi che l'orologio a muro dietro il tramezzo prese a ronzare, e si preparò decisamente a battere le ore. "Ah, ecco!" pensò Goljadkin e, in preda ad angosciosa attesa, si preparò ad ascoltare... Ma, a definitiva e completa sconfitta di Goljadkin, l'orologio fece un enorme sforzo e batté, a conti fatti, un solo colpo. "Che storia è questa?" esclamò il nostro eroe, balzando completamente dal letto. Così com'era, non potendo credere alle proprie orecchie, si lanciò dietro il tramezzo. Sull'orologio era veramente il tocco. Goljadkin diede un'occhiata al letto di Petruska; ma, nella stanza, di Petruska non c'era nemmeno l'odore: il letto, evidentemente, era stato rifatto e lasciato da un pezzo; non c'erano da nessuna parte nemmeno i suoi stivali; indiscutibile segno che Petruska veramente non si trovava in casa. Goljadkin si precipitò alla porta: era chiusa. "Ma dov'è mai Petruska?" proseguì in un sussurro, tutto preso da un tremendo turbamento e sentendo un forte tremore per tutte le membra... All'improvviso un pensiero gli si affacciò... Goljadkin si lanciò verso il tavolo, lo guardò bene, rovistò dappertutto: proprio così... La sua lettera della sera prima a Vachrameiev non c'era più... Dietro al tramezzo non c'era nemmeno Petruska; l'orologio a muro segnava l'una e nella lettera di Vachrameiev del giorno avanti erano stati introdotti alcuni nuovi periodi, al primo sguardo, però, assai poco chiari, ma ora del tutto spiegabili. Finalmente anche Petruska! l'evidentemente prezzolato Petruska! Sì, sì, era proprio così!

"Ecco come andava stringendosi il nodo più importante!" esclamò Goljadkin, battendosi la fronte e spalancando sempre di più gli occhi; "è dunque nel nido di quella spilorcia tedesca che ora si nasconde soprattutto la forza impura! Allora era allora solo una diversione strategica quella che faceva, indicandomi il ponte Izmajlovskij; mi gettava polvere negli occhi, mi voleva confondere (maledetta strega!) ecco come ha preparato le sue insidie! Sì, è così! Solo guardando la faccenda da questo lato, tutto appare proprio così! E si spiega anche perfettamente la comparsa del farabutto! Tutto tende alla stessa meta. Da parecchio tempo lo tenevano là, lo preparavano e lo avevano come riserva per i giorni neri. Ecco come stanno ora le cose, come tutto si è chiarito! Come tutto si è risolto! Ma non importa! Siamo ancora in tempo!" A questo punto Goljadkin ricordò con terrore che era già l'una dopo mezzogiorno. "E, se ora essi avessero fatto in tempo a...". Un gemito uscì dal suo petto... "Ma no, sono fandonie, non hanno fatto in tempo, ora vedremo..." Si vestì in fretta e furia, afferrò un foglio di carta, prese la penna e stese la lettera seguente:

"Egregio signor Jakòv Petrovic', o voi o io, ma tutti e due insieme è impossibile! E perciò vi dichiaro che lo strano, ridicolo e insieme impossibile vostro desiderio di sembrare il mio gemello e di presentarvi come tale non serve che a vostro completo disonore e sconfitta. Perciò vi prego, a giovamento del vostro personale vantaggio, di farvi da parte e di fare largo alle persone veramente nobili e dalle nobili intenzioni. In caso contrario sono pronto ad arrivare a misure estreme. Poso la penna e aspetto... Mi tengo, però, a vostra disposizione, vostra e... delle pistole.

"

ò vigorosamente le mani. Poi, infilato il cappotto e calcato il cappello, aprì con un'altra chiave di riserva la porta di casa e si avviò al dipartimento. Fino al dipartimento ci arrivò, ma a entrare non si decise; in realtà era troppo tardi: le due e mezzo segnava ormai l'orologio di Goljadkin... All'improvviso una circostanza, a prima vista di pochissimo rilievo, gli chiarì alcuni dubbi: da dietro l'angolo dell'edificio del dipartimento comparve ad un tratto una figuretta ansimante e rossa in viso che furtivamente, con andatura da topo, sgattaiolò sulla scala e poi nell'ingresso. Era lo scrivano Ostafev, un uomo ben conosciuto da Goljadkin, un tipo a volte veramente necessario, e pronto, per una monetina da dieci copechi, a qualsiasi cosa. Poiché conosceva il punto debole di Ostafev e aveva capito che quello, dopo un'assenza per una urgentissima necessità, era probabilmente ancora più avido di prima di monetine da dieci copechi, il nostro eroe prese la decisione di non risparmiarle e immediatamente sgattaiolò anche lui sulla scala e poi nell'ingresso, sulle orme di Ostafev, lo chiamò ad alta voce e con aria di mistero lo tirò in disparte, in un angoletto isolato, dietro un'enorme stufa di ghisa. Dopo averlo portato lì, il nostro eroe cominciò una specie di interrogatorio.

"Be', amico mio, come vanno le cose là dentro... tu mi capisci, vero?" "Ascolto, vostra signoria, e auguro salute a vostra signoria."

"Bene, amico mio, bene: e io ti ringrazio, caro amico. Vedi dunque, come stanno le cose?" "Che cosa desiderate darmi domani?" E a questo punto Ostafev coprì un po' con le mani la bocca che, senza intenzione, gli si era spalancata.

" Io, ecco... vedi, amico mio, io... quello... ma tu non pensare niente, sai... Dunque. Andréi Filìppovic' è qui? " "Sissignore, è qui."

"E anche gli impiegati ci sono?" "Sissignore, e anche gli impiegati, come deve essere."

"E c'è anche sua eccellenza?" "Anche sua eccellenza, signore." E qui lo scrivano ancora una volta frenò la bocca che gli si spalancava e guardò con una certa strana curiosità Goljadkin, così sembrò, almeno, al nostro eroe.

"E non c'è niente di speciale, amico mio?" "Niente, signore, assolutamente niente, signore."

"E dunque sul mio conto, caro amico, non c'è qualcosa, insomma soltanto qualcosa così? Soltanto così, capisci, amico mio, capisci?" "No, signore, finora non si è ancora sentito dire niente." Di nuovo lo scrivano frenò la lingua e di nuovo guardò in modo strano Goljadkin. Il fatto è che il nostro eroe si sforzava ora di penetrare nelle espressioni di Ostafev, di leggere in esse se non gli si nascondeva qualcosa. E in realtà, sembrava che qualcosa di nascosto ci fosse; il fatto è che Ostafev stava diventando più rude e asciutto e partecipava ora alla conversazione del signor Goljadkin non più con l'interesse di prima. "In parte è nel suo diritto" pensava Goljadkin; "che gli importa di me? Con ogni probabilità, ha già beccato qualcosa dall'altra parte e per questo forse si è allontanato per qualche urgentissima necessità. Ma io, ecco, a lui..." Goljadkin capì che era il momento giusto per la monetina. "Eccoti, caro amico..."

"Sono vivamente grato alla signoria vostra."

"Te ne darò ancora altre..."

"Vi ascolto, vostra signoria."

"Ora, subito te ne darò altre e, ad affare compiuto, altre ancora. Capisci?" Lo scrivano taceva, stava sull'attenti e, immobile, guardava Goljadkin.

"Be', ora dimmi: non si sente dire niente sul mio conto?" "Mi pare che per ora... di quello... ancora niente... per ora..." Ostafev rispondeva scandendo bene le parole e, sbirciando anche lui con aria un po' misteriosa e sollevando le sopracciglia, teneva gli occhi a terra, cercando di usare il tono adatto e, in una parola, cercava con tutte le forze di guadagnarsi quanto promesso, poiché ciò che gli era stato già dato lo riteneva ormai suo e definitivamente acquisito.

"E non si sa niente?" "Per ora ancora no."

"Ma ascolta... di quello... forse si saprà qualcosa?" "Poi, si capisce, forse verrà risaputo."

"Andiamo male!" pensò il nostro eroe.

"Ascolta, eccoti ancora questo, caro amico."

"Sono vivamente grato alla signoria vostra."

"Vachrameiev è stato qui ieri?" "Si, signore, c'è stato."

"E non c'è stato qualcun altro? Cerca di ricordartene, fratello."

ò un momento nella sua memoria e non ci trovò niente di notevole.

"No, signore, non c'è stato nessun altro."

"Già..." Seguì un silenzio. "Ascolta, caro, eccoti ancora; dimmi tutto, tutto, da cima a fondo."

"Vi ascolto." Ostafev era mansueto come un agnello, ora; proprio quello che serviva a Goljadkin.

"Spiegami, ora, mio caro, di che umore è..."

"Non c'è male, va bene, signore..." rispose lo scrivano, guardando a occhi spalancati Goljadkin.

"Cioè, come bene?" "Cioè, così..." E Ostafev sollevò significativamente le sopracciglia. Però, decisamente cominciava a perdere la tramontana e non sapeva che altro dire. "Andiamo male!" pensò Goljadkin.

"Non c'è qualcosa di nuovo, su, a proposito di Vachrameiev?" "Tutto come prima."

" Pensaci bene..."

"C'è, si dice."

"Be', che c'è dunque?" Ostarev trattenne la bocca con la mano. "Non c'è una lettera per me, là?" "Oggi il custode Micheiev è andato in casa di Vachrameiev là, da quella loro tedesca; ci andrò, dunque, e mi informerò, se serve."

"Fammi il favore, caro, in nome del Creatore! Soltanto così io... tu, caro, non pensare a chi sa che cosa, io soltanto così... E chiedi, caro, informati se non stiano preparando là qualcosa che mi riguardi. Lui come agisce? Ecco cosa mi serve sapere: tu informatene, caro, e io poi ti ricompenserò, caro amico..."

"Sto ascoltando, signoria, ma al vostro posto oggi è seduto Ivàn Semjonyc'."

"Ivàn Semjonyc'? Davvero? possibile?" "Andréj Filìppovic' glielo ha ordinato..."

"Possibile? Ma come mai? Informati di questo, mio caro, informatene, in nome del Creatore! informati di tutto e io te ne sarò grato, mio caro; ecco ciò che serve... Ma tu, caro, non pensare a chissà che cosa..."

"Ascolto, signore, ascolto... Ora andrò sùbito là. Ma voi, signoria, oggi non entrate?" "No, amico mio; io soltanto così... sono venuto soltanto a dare un'occhiata, caro amico, e poi ti sarò grato, amico mio."

"Ascolto, signore." Lo scrivano si avviò in fretta, pieno di zelo, su per la scala e Goljadkin restò solo.

"Andiamo male!" pensò. "Eh, sì, la nostra faccenduola si mette maluccio! Ma tutto questo che cosa starebbe a significare? Che cosa volevano dire certi accenni di questo beone, per esempio, e di chi è questo scherzetto? Ah, ora lo so ben io, di chi è... Ecco che razza di scherzetto è questo. Loro certamente hanno saputo e hanno insediato... Però, che vuol dire 'hanno insediato?'. E' stato Andréj Filìppovic' a insediarlo, quell'Ivàn Semjonyc'...; si, però, perché ce l'ha insediato e con quale scopo, di preciso? Certamente hanno saputo... Questo Vachrameiev lavora, cioè, non Vachrameiev, lui è stupido come una gallina, quel Vachrameiev; ma tutti loro lavorano per lui, e anche quel furfante lo hanno aizzato loro, qui; e quella guercia di tedesca ha fatto le sue lamentele! L'ho sempre sospettato, io, che tutto questo intrigo avesse uno scopo e che in tutto questo spettegolare di donnicciole e di vecchiette ci fosse, senza ombra di dubbio, qualche cosa; la stessa cosa la dicevo anche a Krestjàn Ivànovic', e cioè che avevano cercato di uccidere, parlando dal lato morale, un uomo, e si erano aggrappati a Karolina Ivànovna. Sì, si vede che qui lavora della gente in gamba! Qui, signore mio, lavora una mano sopraffina, e non Vachrameiev. Già si è detto che Vachrameiev è stupido e io so, adesso, chi è che lavora qui per tutti loro: è il mascalzone che ci lavora, è l'impostore! Solo a questo si attacca, il che spiega in parte la sua fortuna nell'alta società. E realmente, sarebbe necessario sapere di che umore è adesso... che cosa succede lì, da loro... Però, a che scopo hanno preso Ivàn Semjonyc'? per che diavolo avevano bisogno di Ivàn Semjonyc'? Come se non fosse possibile pescarne un altro. Del resto, chiunque altro avessero preso, le cose non cambiano; ciò che io so soltanto è questo, che lui, quell'Ivàn Semjonyc', da un pezzo mi sembrava sospetto e da un pezzo lo tenevo d'occhio, è un così sudicio vecchiaccio, così schifoso, dicono, presta denaro e pretende interessi da giudeo. Ma in tutto questo c'è lo zampino di quell'orso. In tutta la faccenda c'è di mezzo lui. Ecco come ha avuto inizio la faccenda: vicino al ponte Izmajlovskij, ha avuto inizio... ecco, com'è cominciata..."

"Be', poco importa, del resto!" pensò. "Però io sono sempre allo stesso punto. Perché questo Ostafev non viene? Probabilmente si è messo a lavorare o, chissà come, è stato fermato da qualcuno... Certamente è in parte una buona cosa che io intrighi e, da parte mia, scavi un po' il terreno sotto i piedi degli altri. Basta dare dieci copechi a Ostafev e poi lui... lui sta dalla mia parte. Però, ecco in che consiste la faccenda: starà poi veramente dalla mia parte... oppure quelli là, dal canto loro, mettendosi d'accordo con lui, tesseranno qualche intrigo? In realtà ha tutta la faccia di un furfante, il mascalzone, di un vero furfante! C'è un mistero qui sotto! 'No, non c'è nulla, dice, signoria, e vi sono sentitamente grato, dice, sinceramente grato'. Che razza di brigante, caro mio!"

ì un rumore... Goljadkin si fece piccolo piccolo e si lanciò dietro la stufa. Qualcuno aveva sceso le scale e era uscito in strada. "Chi può essere che se ne va a quest'ora?" pensò il nostro eroe. Un minuto dopo si sentirono di nuovo dei passi... A questo punto Goljadkin non seppe resistere e mise fuori dal suo nascondiglio giusto la punta del naso... La mise fuori, ma poi si ritrasse di scatto come se qualcuno lo avesse bucato con uno spillo. Questa volta passava si sa bene chi, cioè il farabutto, l'intrigante, il depravato, passava, come al solito, coi suoi ignobili passettini fitti fitti, sgambettando e buttando i piedini come se si preparasse a pigliare a calci qualcuno. "Farabutto!" disse tra sé il nostro eroe. Del resto, Goljadkin non poteva non accorgersi che il farabutto portava sotto il braccio un'enorme cartella verde, che apparteneva a sua eccellenza. "Oh, di nuovo un incarico speciale!" pensò Goljadkin, arrossendo e facendosi sempre più piccolo per la stizza. Il signor Goljadkin numero due era appena sfrecciato davanti al signor Goljadkin numero uno senza accorgersi di lui, che per la terza volta si sentirono dei passi e questa volta Goljadkin indovinò che erano i passi di uno scrivano. Infatti la figurina tutta lustra di uno scrivano diede un'occhiata verso di lui, dietro la stufa: la figurina non era, però, quella di Ostafev, ma di un altro scrivano, soprannominato Scrivanuccio. Questo meravigliò profondamente Goljadkin. "Ma perché ha immischiato altri nel segreto?" pensò il nostro eroe. "Che razza di barbari! Non hanno proprio nulla di sacro!"

"Be', che c'è, amico mio?" prese a dire, rivolgendosi allo scrivano. "Da parte di chi vieni, amico?" "Ecco, signore, per quel vostro affaruccio. Per ora non si sa niente da nessuno, ma se si saprà qualcosa, ve ne informeremo."

"E Ostafev?" "Lui non può assolutamente, signoria. Già due volte sua eccellenza è passata per il reparto e nemmeno io, adesso, ho tempo..."

"Ti ringrazio, caro, ti ringrazio... Tu dimmi soltanto..."

"Vi giuro che non ho tempo, adesso... Ci chiamano ogni momento... Ma voi, ecco, compiacetevi di trattenervi ancora un po' qui, di modo che, se ci sarà qualcosa relativo alla vostra faccenduola, ve lo riferiremo..."

"No, tu, mio caro, tu dimmi..."

"Permettete, signore, non ho tempo" disse Scrivanuccio, sfuggendo a Goljadkin che lo aveva afferrato per una falda; "davvero in questo momento non è possibile. Voi compiacetevi di trattenervi qui ancora un po' e noi vi riferiremo."

"Subito, subito, amico! Subito, caro amico! Ecco, subito: ecco una lettera amico mio, io te ne sarò grato, caro."

"Ascolto, signore."

"Fa' il possibile per consegnarla al signor Goljadkin."

"Goljadkin?" "Sì, amico mio, al signor Goljadkin..."

"Bene, signore. Ecco, quando me ne andrò, la prenderò. E voi restate qui, intanto. Qui nessuno vi vedrà."

"No, io, amico mio, tu non pensare... io, già, non sto qui perché nessuno mi veda... E ora, amico mio, qui non ci starò più... ma starò giù, nel vicolo... Lì c'è un caffè: così io aspetterò là e tu, se succede qualcosa, vieni a informarmi di tutto, capisci?" "Bene, signore. Lasciatemi soltanto andare. Io capisco..."

"E io ti sarò grato, mio caro!" gridò Goljadkin, alle spalle di Scrivanuccio, riuscito finalmente a liberarsi...

"Farabutto, mi pare che verso la fine sia diventato più grossolano" pensò il nostro eroe, uscendo alla chetichella, da dietro la stufa. "Qui c'è un altro amo, è chiaro... Anche all'inizio c'è stato questo e quello... Del resto, aveva davvero paura: può darsi che là ci sia molto da fare. E sua eccellenza è passato due volte nella sezione... Ma come mai l'avrà fatto? Uh! ma questo non ha importanza... Del resto non è niente e ora vedremo..."

ì il rumore della carrozza di sua eccellenza. Non fece in tempo a riaversi che lo sportello della carrozza si aprì dall'interno e il signore che vi era seduto balzò sulla scala. Quello che arrivava non era altri che quello stesso signor Goljadkin numero due che si era allontanato dieci minuti prima. Il signor Goliadkin numero uno ricordò che l'abitazione del direttore era proprio a due passi. "E' lui per un incarico speciale" pensò il nostro eroe. Nel frattempo il signor Goljadkin numero due, presa dalla carrozza la grossa borsa verde e altri incartamenti ancora e dati poi non so quali ordini al cocchiere, spalancò la porta, quasi urtando con essa il signor Goljadkin numero uno e, senza fare, intenzionalmente, attenzione a lui, e di conseguenza comportandosi a suo dispetto, si slanciò correndo a perdifiato per la scala del dipartimento. "Andiamo male!" pensò Goljadkin "eh, nella nostra faccenduola c'è qualche guaio! Vedi un po', Signore mio dio!" Da mezzo minuto il nostro eroe era lì immobile, impalato; finalmente si decise. Senza pensarci su tanto a lungo, assalito da una forte palpitazione di cuore e da un tremito per tutto il corpo, corse su per le scale, sulle orme del suo buon conoscente. "Ah! vada come vuole: che me ne importa? Io sono parte in causa, in questa faccenda" pensava, mentre in anticamera si toglieva cappello, cappotto e soprascarpe.

ò nella sua sezione, erano già scese le ombre del crepuscolo. Né Andréj Filìppovic' né Antòn Antònovic' si trovavano nella stanza. Erano tutti e due a rapporto nello studio del direttore; il direttore poi, a sua volta, come si sapeva dalle voci che correvano, doveva andare di fretta da sua eccellenza. In conseguenza di quelle circostanze e anche perché ci si era messa anche l'oscurità del crepuscolo e l'orario d'ufficio era ormai finito, alcuni degli impiegati, prevalentemente giovani, proprio nel momento in cui il nostro eroe faceva il suo ingresso, erano intenti, per non dire a oziare, a riunirsi, a chiacchierare, a ridere, a discutere e, anzi, qualcuno dei più giovani, cioè dei meno elevati in grado, alla chetichella e favoriti dal generale rumore, giocavano in un angolo vicino alla finestra a testa e croce. Poiché conosceva le convenienze e provando in quel momento particolarmente la necessità di procurarsi della benevolenza, Goljadkin si avvicinò, senza perder tempo, a qualcuno col quale andava più d'accordo, per augurargli il buon giorno eccetera eccetera. Ma i compagni d'ufficio risposero in modo molto strano ai saluti di Goljadkin. Rimase sgradevolmente colpito da una certa generale freddezza e asciuttezza e perfino, si può dire, da una certa severità nell'accoglierlo. Nessuno gli tese la mano. Alcuni dissero semplicemente "buongiorno" e si allontanarono; altri fecero solo un cenno con la testa, qualcuno si girò semplicemente dall'altra parte, come non si fosse accorto di niente e alcuni, infine - cosa che più di tutto ferì Goljadkin - alcuni tra i giovani di grado più basso, ragazzi che, come giustamente si era espresso sul conto loro Goljadkin, sapevano soltanto giocare a testa e croce e gironzolare qua e là, a poco a poco circondarono Goljadkin, gli si affollarono attorno e quasi quasi gli impedirono di uscire. E tutti lo guardavano con una certa curiosità che aveva dell'offensivo.

ò, dal canto suo, a fare finta di niente. All'improvviso, una circostanza, come si dice, assolutamente imprevista, segnò il tracollo di Goljadkin, e lo annientò definitivamente.

ù angoscioso per Goljadkin, comparve il signor Goljadkin numero due, festoso come sempre e, come sempre, con un sorrisetto, e, anche come sempre, irrequieto; in una parola: birichino, saltellante, leccapiedi, ridanciano, svelto di lingua e di piede come sempre, come prima, come, per esempio, ieri, in un momento quanto mai spiacevole per il signor Goljadkin numero uno. Con un sorrisetto sulle labbra, sgambettando, trotterellando, con una smorfietta che sembrava dire a tutti: "buona sera", si ficcò nel gruppetto degli impiegati: a uno porse la mano, a quell'altro batté sulla spalla, a un terzo fece un leggero abbraccio, al quarto spiegò in che occasione, precisamente, fosse stato adibito al servizio di sua eccellenza, dove era andato con la carrozza, che cosa aveva fatto, che cosa aveva riportato con sé; al quinto, probabilmente il suo migliore amico, appioppò un bacio proprio sulle labbra... in una parola, tutto era, per filo e per segno, come nel sogno del signor Goljadkin numero uno. Dopo aver saltellato a sazietà, dopo averli passati tutti a modo suo, dopo aver lavorato tutti a suo favore, dopo avere, gli servisse o no, lusingato tutti a piacimento, il signor Goljadkin numero due di colpo, e certo per errore, non avendo ancora probabilmente, fino a quel momento, notato il suo vecchio amico, tese la mano al signor Goljadkin numero uno. Certamente, pure per errore, benché, del resto, avesse avuto perfettamente tempo di notare la presenza dell'ignobile signor Goljadkin numero due, il nostro eroe afferrò avidamente quella mano così inaspettatamente tesa verso di lui e la strinse nel modo più caldo, più amichevole, la strinse con uno strano e del tutto inaspettato moto interiore, un moto interiore, diremo, tendente al pianto. Se il nostro eroe fosse stato ingannato dal primo gesto del suo abietto nemico, o avesse sentito o ritrovato o riconosciuto nel profondo del suo animo fino a che punto fosse arrivata la sua impotenza, è difficile dirlo. Il fatto è che il signor Goljadkin numero uno, apparentemente in modo normale, di propria volontà, in presenza di testimoni, aveva solennemente stretto la mano a colui che definiva suo nemico mortale. Ma quale non fu lo stupore, lo sbalordimento e il furore, quale non fu la vergogna e lo sgomento del signor Goljadkin numero uno, quando il suo avversario mortale, l'abietto signor Goljadkin numero due, accortosi dell'errore dell'uomo perseguitato, innocente e da lui perfidamente ingannato, senza più nessuna vergogna, senza ombra di sensibilità, senza compassione nè coscienza, di colpo, con impudenza insopportabile e con villania strappò la sua mano da quella del signor Goljadkin numero uno, e, come se ciò non bastasse, scosse la propria come se, con quella stretta di prima, l'avesse insudiciata di qualcosa di brutto; e, come se nemmeno questo bastasse, sputò da una parte, accompagnando l'atto con un gesto offensivo; e, come se non bastasse ancora, tirò fuori il fazzoletto e proprio lì, nel modo più scandaloso, si ripulì tutte le dita che per un momento erano state strette nella mano del signor Goljadkin numero uno. Mentre si comportava così, il signor Goljadkin numero due, secondo la sua schifosa abitudine, si guardava intenzionalmente intorno, faceva sì che tutti vedessero il suo modo di comportarsi, fissava tutti negli occhi e evidentemente si sforzava di suscitare nell'animo di tutti le cose più sfavorevoli sul conto di Goljadkin. Sembrava che il disgustoso modo di comportarsi del signor Goljadkin numero due avesse provocato lo sdegno generale degli impiegati che erano lì intorno; persino la sventata gioventù dimostrava il suo scontento. Tutto intorno si sentì mormorare e parlottare. Quella generale inquietudine non poteva non arrivare all'orecchio del signor Goljadkin numero uno, ma di colpo uno scherzetto, arrivato proprio in tempo e nato, tra l'altro, sulle labbra del signor Goljadkin numero due, abbatté e annientò le ultime speranze del nostro eroe e fece pendere la bilancia in favore del suo mortale e inutile nemico.

"Questo, signori, è il nostro Faublas (1) russo: permettete che vi presenti il giovane Faublas" squittì il signor Goljadkin numero due, guizzando e sgambettando tra gli impiegati con quella sfrontatezza tutta sua particolare e indicando loro l'imbambolato e nello stesso tempo furibondo autentico Goljadkin.

"Baciamoci, animuccia!" continuò con intollerabile familiarità, avanzando verso l'uomo da lui così oltraggiosamente offeso. Sembrò che lo scherzetto dell'inutile signor Goljadkin numero due trovasse risonanza là dove occorreva, tanto più che in esso era racchiusa una chiara allusione a una circostanza, evidentemente già di pubblico dominio e nota a tutti. Il nostro eroe sentì sulle sue spalle il peso della mano dei nemici. Del resto, aveva già preso la sua decisione. Con lo sguardo fiammeggiante, il viso pallido, con un sorriso statico, si fece largo tra la folla e a passi incerti e rapidi puntò direttamente verso lo studio di sua eccellenza. Nella penultima stanza incontrò Andréj Filìppovic' che in quel momento usciva da sua eccellenza, e sebbene in quella stanza ci fossero parecchie altre persone, assolutamente estranee in quel momento per Goljadkin, il nostro eroe non volle considerare affatto una tale circostanza. Direttamente, decisamente, audacemente, quasi meravigliandosi di se stesso e lodando in cuor suo la propria audacia, abbordò, senza perder tempo, Andréj Filìppovic', stupefatto per un così imprevisto assalto.

"Ah, siete voi... che volete?" domandò il caposezione, senza ascoltare quello che Goljadkin aveva cominciato a balbettare.

"Andréj Filìppovic', io... posso io, Andréj Filìppovic', avere ora, subito e a tu per tu, un colloquio con sua eccellenza?" disse con belle parole e con chiara pronuncia il nostro eroe, fissando su Andréj Filìppovic' uno sguardo pieno di risolutezza.

"Che cosa? Naturalmente, no, signore." Andréj Filìppovic' misurò Goljadkin dalla testa ai piedi con lo sguardo.

"Io, Andréj Filìppovic', dico tutto questo perché mi meraviglio che non ci sia nessuno qui dentro che sbugiardi quel farabutto impostore."

"Co-osa?" "Farabutto, Andréj Filìppovic'."

"Ma a chi alludete, parlando in tal modo?" "Alla ben nota persona, Andréj Filìppovic'. Io, Andréj Filìppovic', alludo alla ben nota persona; io sono nel mio diritto... Io credo, Andréj Filìppovic' che i superiori dovrebbero incoraggiare simili impulsi" aggiunse il signor Goljadkin, evidentemente fuori di sé; "Andréj Filìppovic'... voi certamente vedete voi stesso, Andréj Filìppovic', che questo è un nobile impulso, che denota tutte le mie buone intenzioni di considerare come padre il mio superiore, Andréj Filìppovic'; io tengo, cioè, il mio benefico superiore in conto di padre e ciecamente gli affido il mio destino. Le cose sono così e così... dirò... ecco come..." A questo punto la voce di Goljadkin ebbe un tremito, il suo viso si fece di fiamma e due lacrime si affacciarono sulle sue ciglia.

éj Filìppovic', ascoltando Goljadkin, aveva provato tanto stupore che, quasi involontariamente, era arretrato di due passi. Poi, inquieto, rivolse intorno lo sguardo... Era difficile dire come sarebbe andata a finire la faccenda... Ma di colpo la porta dello studio di sua eccellenza si aprì e lui stesso ne uscì, in compagnia di alcuni impiegati. Gli si accodarono, uno dopo l'altro, tutti quelli che erano nella stanza. Sua eccellenza chiamò Andréj Filìppovic' e si avviò al suo fianco, parlando di certi affari. Quando tutti furono usciti dalla stanza, Goljadkin si riebbe. Calmatosi, andò a rifugiarsi sotto l'ala di Antòn Antònovic' Setoc'kin che, a sua volta, sgambettava zoppicando dietro gli altri e, così sembrò a Goljadkin, con aria severa e preoccupata. "Ho parlato troppo anche qui: anche qui mi sono fatto del male" pensò Goljadkin. "Ma via, non importa!"

"Spero che almeno voi, Antòn Antònovic', acconsentirete ad ascoltarmi e a comprendere a fondo la mia situazione" cominciò piano e con la voce ancora più tremante per l'agitazione. "Respinto da tutti, mi rivolgo a voi. Sono tuttora perplesso sul significato delle parole di Andréj Filìppovic', Antòn Antònovic'. Spiegatemele voi, se è possibile..."

"Tutto si spiegherà al momento opportuno" rispose in tono severo e pacato Antòn Antònovic' e, così sembrò a Goljadkin, con un'aria che dava chiaramente a intendere che Antòn Antònovic' voleva tassativamente porre finee alla conversazione. "Sarete al più presto informato di tutto. Oggi stesso sarete informato formalmente di tutto."

"Che significa formalmente, Antòn Antònovic', e perché proprio formalmente?" chiese, timido, il nostro eroe.

"Non tocca a voi discutere, Jakòv Petrovic', le decisioni dei superiori."

"Perché, poi, superiori, Antòn Antònovic'" proseguì Goljadkin sempre più timidamente, "perché i superiori? Non vedo la ragione perché qui sia necessario disturbare i superiori, Antòn Antònovic'... Volete forse accennare qualcosa a proposito di ieri sera, Antòn Antònovic'?" "Nossignore, non di ieri sera; ma qui c'è qualche altra cosa che lascia a desiderare in voi."

"Che cosa lascia a desiderare, Antòn Antònovic'? Mi pare, Antòn Antònovic', che in me non ci sia proprio niente che lasci a desiderare."

"E con chi vi preparavate a giocare d'astuzia?" disse Antòn Antònovic', interrompendo di colpo Goljadkin, completamente smarrito. Goljadkin ebbe un sussulto e sbiancò come un cencio.

"Certo, Antòn Antònovic," mormorò con un filo di voce "se si dà ascolto alla voce della calunnia e si dà retta ai nostri nemici, senza tener conto delle giustificazioni dell'altra parte, allora naturalmente... naturalmente, Antòn Antònovic', si può soffrire, Antòn Antònovic', pur essendo senza colpa, e soffrire non si sa per che cosa."

"Sì, sì... ma quel vostro indegno comportamento in danno del buon nome di una nobile fanciulla appartenente a quella virtuosa, rispettabile e nota famiglia che vi beneficava?" "Quale comportamento, Antòn Antònovic'?" "Già, già... E riguardo a quell'altra ragazza, povera, ma in compenso di onesta origine straniera, non sapete niente del vostro lodevole comportamento?" "Permettete, Antòn Antònovic'... vogliate benevolmente ascoltare..."

"E il vostro perfido comportamento e la calunnia contro un'altra persona, l'accusa a un'altra persona di un peccato che voi stesso avete commesso? eh? come definite tutto questo?" "Io, Antòn Antònovic', non l'ho scacciato" disse tutto trepidante il nostro eroe, "e a Petruska, ossia al mio domestico, non ho insegnato niente di simile... Ha mangiato il mio pane, Antòn Antònovic'; ha usato della mia ospitalità" aggiunse in modo espressivo e accorato il nostro eroe, tanto che il mento gli saltellava un pochino e le lacrime erano sul punto di sgorgare.

"Lo dite tanto per dire, Jakòv Petrovic', che ha mangiato il vostro pane" rispose, facendo un largo sorriso, Antòn Antònovic, e nella sua voce vibrava la malizia, tanto che il cuore di Goljadkin ebbe come una sferzata.

"Permettete ancora, Antòn Antònovic', una umilissima domanda: sua eccellenza è al corrente di tutta questa faccenda?" "E come! Ora, però, lasciatemi andare. Non ho tempo, adesso, di trattenermi con voi... Oggi sarete informato di tutto ciò che dovete sapere."

"Permettete, in nome di Dio, ancora un minutino, Antòn Antònovic" "Parlerete poi..."

"Nossignore, Antòn Antònovic': io, signore, vedete, ascoltate soltanto, Antòn Antònovic'... Io non sono uno scettico, Antòn Antònovic', io rifuggo dallo scetticismo; io sono prontissimo, per parte mia, e ho anche prospettato quell'idea..."

"Bene, bene... Ne ho già sentito par]are..."

"Nossignore, questo non l'avete sentito dire, Antòn Antònovic'. Questa è tutta un'altra cosa, è bello, veramente bello, e fa piacere sentirlo dire... Io ho fatto presente, come già ho avuto l'onore di dichiararvi, quell'idea, Antòn Antònovic', che la divina Provvidenza abbia creato due esseri identici, e i benefici superiori, considerata la divina Provvidenza, hanno accolto i due gemelli. E questo è bello, Antòn Antònovic'; lo vedete anche voi, che è molto bello, Antòn Antònovic', e che io sono ben lontano dall'essere scettico. Io considero il benefico superiore come un padre. Le cose sono così e così, direi, benefico superiore, e voi direi... un giovane deve lavorare... Sostenetemi, Antòn Antònovic', intercedete in mio favore, Antòn Antònovic'... Io niente... Antòn Antònovic', per amor di Dio, ancora solo una parolina... Antòn Antònovic'..."

òn Antònovic era già lontano da Goljadkin... Il nostro eroe non sapeva dove si trovasse, che cosa sentisse, che cosa facesse, che cosa gli fosse successo e che altro gli sarebbe capitato ancora, tanto lo aveva sconcertato e sbalordito quello che aveva sentito e gli era accaduto.

òn Antònovic' per giustificarsi ancora di più davanti a lui e dirgli ancora qualcosa di molto benintenzionato e di molto nobile e lusinghiero sul suo conto... A poco a poco, intanto, una nuova luce si faceva strada attraverso la confusione di Goljadkin, una nuova tremenda luce che illuminava, davanti a lui, di colpo, tutta una serie di circostanze assolutamente ignorate fino ad ora e perfino assolutamente insospettate... In quel momento qualcuno urtò al fianco il nostro eroe, completamente smarrito. Egli diede un'occhiata intorno a sé. Davanti a lui stava Scrivanuccio.

"Una lettera, signoria."

"Ah, sei già andato, mio caro?" "No, questa l'hanno portata qui fin da stamattina alle dieci. Sergéj Micheiev, il guardiano, l'ha portata dalla casa del segretario provinciale Vachrameiev."

"Bene, amico, bene... te ne sono grato, amico."

ò, Goljadkin nascose la lettera nella tasca laterale della giubba della divisa, di cui chiuse tutti i bottoni; poi si guardò intorno e, con suo grande stupore, si accorse di trovarsi già nell'ingresso del dipartimento, tra una frotta di impiegati che si affollavano all'uscita, poiché l'orario d'ufficio era finito. Goljadkin non soltanto non si era fino ad allora accorto di quest'ultima circostanza, ma neppure si era accorto e non ricordava come mai si trovasse già in cappotto e soprascarpe, e col cappello tra le mani. Tutti gli impiegati erano immobili e in rispettosa attesa. Il fatto era che sua eccellenza si era fermato in fondo alla scala per aspettare la carrozza che, non si sa per quale ragione, ritardava, e si tratteneva in interessante conversazione con due consiglieri e con Andréj Filìppovic. Un po' scostato dai due consiglieri e da Andréj Filìppovic', stava dritto Antòn Antònovic' Setoc'kin e qualcuno degli altri impiegati, che sorridevano nel vedere sua eccellenza che si degnava di ridere e di scherzare. Gli impiegati che facevano ressa in cima alla scala ridevano pure loro e aspettavano che sua eccellenza riprendesse a ridere. L'unico che non rideva era Fedosejc', il panciuto portiere che reggeva la maniglia della porta e, impalato sull'attenti, aspettava con impazienza la sua giornaliera porzione di piacere che consisteva nell'aprire di colpo, spalancandolo con un'unica mossa del braccio, un solo battente della porta e poi, tutto piegato ad arco, rispettosamente far passare davanti a sé sua eccellenza. Ma più di tutti, evidentemente, era felice e provava una grande gioia l'indegno e ignobile nemico di Goljadkin. In quel momento aveva persino dimenticato tutti gli impiegati, aveva persino dimenticato di guizzare e di sgambettare in mezzo a loro, secondo la sua abietta abitudine, e aveva anche dimenticato di approfittare dell'occasione per fare il leccapiedi a qualcuno. Era tutt'orecchi e tutt'occhi; era, per così dire, come rattrappito, certo per ascoltare più comodamente, senza distogliere lo sguardo da sua eccellenza, e soltanto a tratti le sue braccia, le sue gambe e la sua testa erano come trafitte da spasmi convulsi, quasi impercettibili, che rivelavano gli intimi, nascosti moti del suo animo. "Guardalo come si agita!" pensò il nostro eroe, "sembra un favorito, il farabutto! Vorrei sapere in che modo precisamente si intrufola nell'alta società. Non ha intelligenza, non ha carattere, non ha educazione, non ha sensibilità; ha la fortuna dalla sua, il brigante! O Signore Iddio! A pensarci, come fa presto un uomo a entrare nelle grazie della gente! E si farà strada, il bel tipo! Giuro che andrà lontano, il furfante, che arriverà... ha la fortuna dalla sua, il ribaldo! Vorrei anche sapere che cosa vada soffiando negli orecchi a tutti loro! Quali misteri ha con tutta questa gente e di quali segreti parlano? Signore Iddio! Se anch'io potessi un pochino... potessi così... dire così e così... e forse anche pregare... e dire che non succederà più; sono colpevole, gli direi, ma un uomo giovane, ai nostri tempi, deve potere, eccellenza, prestar servizio; quanto alla mia oscura vicenda non ne sono per niente turbato; ecco, così stanno le cose! Non protesterò in nessun modo e sopporterò ogni cosa con pazienza e con rassegnazione: ecco, così! Devo forse agire così? Ma del resto non gli faranno abbassare la cresta, al furfante, non lo smuoveranno con nessuna parola; ficcare un po' di ragione in quella testaccia sconclusionata è impossibile. Del resto, ci proveremo. Se mi accadrà di capitare in un buon momento, ecco, si proverà..."

ì non si poteva, che stava per arrivare il momento decisivo, che bisognava spiegarsi con qualcuno, il nostro eroe a poco a poco cominciava a muoversi verso il posto in cui stava il suo indegno e misterioso amico; ma proprio in quel momento ecco rombare all'ingresso la carrozza a lungo aspettata da sua eccellenza. Fedosejc' spalancò di colpo il battente, e, piegata ad arco la schiena, fece passare davanti a sé sua eccellenza. Tutti quelli che erano rimasti in attesa si precipitarono verso l'uscita e per un momento separarono il signor Goljadkin numero uno dal signor Goljadkin numero due. "Non te la svignerai" diceva il nostro eroe, fendendo la folla e senza, distogliere gli occhi dal suo inseguito. Infine la folla si disperse. Il nostro eroe si sentì libero e si precipitò all'inseguimento del suo nemico.

"Le avventure del cavaliere di Faublas", di Jean Baptiste Louvet de Couvral (1760-1797), rivoluzionario e scrittore francese.

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